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Quanto coraggio ci vuole a chiedere aiuto?


Qualche giorno fa parlavo con un’amica (se mi leggi, questo post è dedicato a te!) che mi ha confidato che fa molta fatica a farsi aiutare perché, sin da quando era bambina si è sentita dire che “Chi riesce a fare da solo ha in mano la propria vita” e per tutta la sua vita ha fatto in modo di cavarsela da sola.

Questo l’ha portata a essere una donna forte, indipendente, in grado di gestire e organizzare gli impegni di tutta la famglia destreggiandosi con ammirevole equilibrismo.

Eppure insieme ci siamo soffermate a riflettere sul prezzo che spesso ci costringiamo a pagare per conquistare questa autonomia e questa indipendenza e quanto invece sarebbe tutto più semplice e sostenibile se ci fosse una cultura dell’aiuto diversa e se noi, per prime, ammettessimo di averne bisogno.

 

Perchè il fatto che sia fattibile non significa che sia sostenibile!

 

Cresciamo a pane e competizione, o perlomeno questo è ciò che ho percepito io durante la mia vita fino a qui.

E per quelle di noi che si pongono standard molto alti che rasentano la perfezione, alimentati magari da convinzioni come quella di qualche riga più su (se faccio tutto da sola, sono brava), la competizione può essere un motore molto efficace per dare una spinta verso il risultato.

 

Di contro però può essere anche quella molla che fa scattare il pensiero per cui “Devo farcela da sola” diventa un’imposizione da cui è difficile liberarsi, privandoci del piacere della condivisione dei nostri limiti, dell’aiuto dato e ricevuto e dello scambio alla pari con gli altri .

 

O favorire il pensiero per cui se non ce la faccio, sono un fallimento.

 

 

“A buon rendere”: una frase che potrebbe voler dire molte cose

Un’altra convinzione che spesso ci vincola nella richiesta di supporto è credere che, una volta ricevuto l’aiuto, dovremo necessariamente saldare il nostro debito. Con un possibile risvolto: chi ci dà una mano lo fa per ottenere qualcosa in cambio.

Per quanto mi riguarda, mi sono trovata spesso in situazioni in cui il mio aiuto è stato rifiutato proprio perchè ho percepito la preoccupazione di dovermi rendere il favore, che questo costituisse quindi una pendenza da saldare o comunque un precedente di cui ricordarsi in futuro.

Un tempo avrei reagito risentendomi, oggi che ho superato il pregiudizio, mi metto nei panni di chi ho di fronte, cerco di capire quali siano le sue resistenze e accetto un no come risposta, proprio perchè mi rendo conto del potere che certe convinzioni hanno su di noi.

E anche quando il mio aiuto viene accettato e mi sento rispondere “A buon rendere”, mi chiedo se dietro non ci sia un bisogno di ripristinare un equilibrio nel rapporto dare-avere, oltre al genuino piacere di aiutarmi.

 

Chiedere aiuto: il primo passo

Individuare quale sia l’idea che nel tempo ci siamo fatte rispetto al chiedere aiuto costituisce il primo passo per prendere confidenza con questo gesto.

 

Prendere contatto con i nostri pregiudizi, con le convinzioni e le credenze che ci vincolano e condizionano ci permetterà di comprendere i nostri meccanismi e di provare ad andare oltre, formulandone di nuovi, per poter soddisfare il nostro bisogno di chiedere aiuto.

 

Ecco qualche spunto per rifletterci su:

1. Quali sono le parole, le immagini, le espressioni ecc che ti vengono immediatamente in mente quando pensi di “chiedere aiuto”?

2. Quali sono le situazioni in cui chiederesti più volentieri aiuto ma ti trattieni dal farlo? Con quali persone?

3. Quando pensi di chiedere aiuto, qual è la fantasia che ti fai circa risposte che pensi potrebbero darti o l’idea che gli altri potrebbero farsi su di te?

4. Cosa pensi o temi di dimostrare di te chiedendo una mano?

5. Se invece sei tu a ricevere una richiesta di aiuto, come ti comporti? Cosa pensi della persona che ha avanzato la richiesta?

 

Mi vogliono aiutare: e adesso?

Hai mai fatto caso a come reagisci quando l’aiuto ti arriva davvero, che tu l’abbia richiesto o che sia giunto spontaneamente?

Ti è mai successo che volessero aiutarti, anche insistentemente, e tu di istinto volessi rifiutare, provando quasi disagio per quell’insistenza?

O, di contro, ti è mai capitato di ottenere l’aiuto richiesto, di riuscire finalmente a delegare, ma di sentire una spinta a intervenire continuamente, a suggerire come fare o addiruttura correggere le azioni di chi ti stava supportando?

A mio parere, il primo meccanismo ha molto a che fare con la differenza che c’è tra il chiedere aiuto e farsi aiutare, anzi, per la precisione, lasciarsi aiutare.

 

Lasciarsi aiutare è legato al concederci il lusso di farci dare una mano, di darci il permesso di non farcela e di ammetterlo, di dimostrarci bisognose.
Ha a che fare con quanto riteniamo di meritare quell’aiuto, di esserne “degne”.

 

Nel secondo meccanismo invece, credo che intervenga una forma di perfezionismo per cui  “Le cose come le facciamo noi, non le fa nessuno“: cui l’aiuto che riceviamo non va bene in ogni caso, perchè poi dovremo rimetterci mano, dovremo rifare tutto da capo e quindi tanto vale occuparcene direttamente noi! (Di questo aspetto ti ho parlato anche nel mio post  “Ti senti sopraffatta anche tu?”).

 

In entrambe le situazioni, ci vedo un tentativo inconsapevole di confermare la nostra convinzione per cui sia “meglio farci le nostre cose da sole“, in un atteggiamento autosabotante bello e buono.

Tu che ne dici?

 

Il coraggio che serve per chiedere aiuto

Ora forse ti sarà più chiaro perchè penso che per chiedere aiuto serva una montagna di coraggio: perchè significa essere disposte a mettersi in discussione e scardinare meccanismi che ci appartengono da tempo e che spesso fatichiamo anche solo a vedere.

 

Chiedere aiuto richiede quel coraggio che serve per:

  • andare oltre le proprie credenze e convinzioni,
  • riconoscere e ammettere avere dei limiti , non solo davanti allo speccHio, ma anche davanti agli altri,
  • riconoscere di avere dei bisogni e di volerli mettere in primo piano,
  • ammettere le nostre debolezze e vulnerabilità agli occhi degli altri,
  • essere umili e rischiare il rifiuto, perchè non sempre ottieni ciò che chiedi,
  • esserci, perché chiedere aiuto vuol dire attirare l’attenzione su di sé e dire: “Ehi sono qui, mi vedi?”
  • imparare, mettersi in condizione di colmare una lacuna,  apprendere qualcosa di nuovo, crescere e migliorare.
  •  

E tutto questo coraggio ripaga, anche quando non ottiene risposta positiva, perchè ciò che guadagniamo a fronte di quella prova di forza, va ben oltre il “semplice aiuto” che possiamo ricevere:

  • la nostra vita sarà più leggera e magari anche un po’ più semplice,
  • riusciremo finalmente a mostrarci per ciò che siamo, con autenticità, togliendoci la maschera,
  • potremo vivere l’esperienza gratificante dello scambio, aprirci agli altri, a ciò che possono darci e chiederci,
  • potremo lasciar andare ciò che non siamo in grado di fare e iniziare a concentrarci su ciò che invece riusciamo a fare bene e che magari ci piace,
  • saremo viste e apprezzate,
  • potremo sentirci rispondere “NO” e questo sarà una sfida a crescere e ad accettare la realtà,
  • saremo finalmente in grado di metterci in discussione e di esporci,
  • lasceremo che si faccia largo in noi la convinzione che ci meritiamo di essere aiutate,
  • libereremo spazio, tempo ed energie per dedicarci a cosa conta di più,
  • ci guadagneremo in autostima e sicurezza in noi stesse, perchè ammettere nostri limiti è il primo passo per imparare ad accettarci e apprezzare noi stesse,
  • ci libereremo dal senso di sopraffazione,
  • ci libereremo dai pregiudizi, andremo al di là delle apparenze e ci daremo il permesso di conoscere davvero chi ci sta intorno, aprendoci, perchè no, ad una logica di mutuo-aiuto,
  • cambieremo prospettiva e smetteremo di concentrarci solo su quanto il nostro bicchiere sia mezzo vuoto.
  •  

E questo perchè, grazie al confronto, capiremo che tutte noi affrontiamo delle sfide e delle difficoltà, visibili o meno e che solo con la condivisione abbiamo davvero la possibilità di crescere.
E se non è coraggio questo, non so cosa lo sia!

E ora guardati indietro e chiediti: “Senza l’aiuto degli altri (amici, parenti, colleghi che siano) sarei dove sarei ora?”.

 

Se la risposta è NO, allora significa che fin qui hai avuto coraggio anche tu e che sei in grado di farlo ancora.

 

Se senti che è arrivato il momento di chiedere aiuto, puoi candidarti a lavorarci su con me compilando il questionario che trovi qui!

Ph  Remi Walle su Unsplash

 

 

Patrizia Arcadi

Sono Patrizia Arcadi, La Coach Imperfetta: ti aiuto ad accettare e accogliere l’imperfezione, riscoprendo il coraggio di essere te stessa. Lavorando con me potrai: sentirti più sicura di te e delle tue decisioni nella vita privata e nel lavoro, metterti al primo posto senza sentirti in colpa, riconoscere il tuo valore, dire la tua con sicurezza, apprezzarti e star bene con te stessa.

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